RAZZE SUINE AUTOCTONE ITALIANE

La nostra penisola, ricca di biodiversità, vanta diverse razze suine autoctone. Queste vengono tutelate dall’ANAS (Associazione Nazionale Allevatori Suini), che detiene il loro Registro Anagrafico. Il Registro Anagrafico è uno strumento per la tutela  e la valorizzazione economica del patrimonio genetico di razze autoctone, talvolta a rischio estinzione. Ad oggi, vengono riconosciute dall’ANAS come razze sottoposte a programmi di selezione sei razze autoctone suine: la Cinta Senese, la Casertana, la Mora Romagnola, l’Apulo-Calabrese, il Nero Siciliano e la Sarda.

La Cinta Senese è una razza antichissima, originaria della zona della Montagnola Senese come suggerito dal nome. La peculiarità morfologica di questo suino autoctono è la cinghiatura bianca sul mantello nero- ardesia. Animale rustico, viene allevata allo stato brado o semi-brado. La Cinta Senese ci offre una carne di ottima qualità, utilizzata prevalentemente per la trasformazione in salumi tipici come il prosciutto toscano, la finocchiona, il lardo, il capocollo, la pancetta. Fino agli anni Cinquanta, la Cinta Senese era una razza molto diffusa in Toscana e veniva utilizzata anche per incroci con i Large White. Animale che ha sempre destato curiosità, era dotata di Libro Genealogico per il suo miglioramento genetico. A causa di una drastica diminuzione dei capi, che hanno rischiato l’estinzione, tra gli anni Sessanta e Novanta il Libro Genealogico è stato chiuso, per poi essere riaperto nel 1997 e convertito in Registro Anagrafico nel 1999.

La Casertana, che abbiamo già trattato nel dettaglio, ha origini antiche collocabili all’epoca romana. Detta anche “Pelatella” a causa della scarsità o dell’assenza di setole. La cute è grigio-ardesia, presenta tettole o bargigli e lo scheletro è leggero. Proprio grazie allo scheletro leggero, ha elevate rese alla macellazione e la sua carne è sempre stata utilizzata sia per la trasformazione in salumi tipici, sia per il consumo fresco. Rustica e ottima pascolatrice, come le altre razze autoctone, viene allevata allo stato brado o semi-brado.

Durante il secolo scorso ha rischiato l’estinzione a causa della sostituzione con tipi genetici più precoci e magri. Oltre all’iscrizione al Registro Anagrafico tenuto dall’ANAS, negli ultimi anni a sua tutela è nato un Consorzio che si propone di valorizzare e di promuovere i prodotti di questa razza.

 

La Mora Romagnola, così chiamata per il suo colore marrone scuro, tendente al nero, era molto diffusa in tutta la Romagna. In passato veniva distinta in varie popolazioni, dalla più diffusa “Forlivese” con manto nerastro che si schiariva nella zona addominale alla “Feantina”, meno diffusa e meno pregiata della precedente, caratterizzata da mantello rosso chiaro. Fino agli anni Cinquanta, tutte le popolazioni di Mora Romagnola venivano incrociate con i Large White. L’ibrido ottenuto era detto “Fumati”. Tra il primo  e il secondo dopoguerra, i capi sono passati da oltre 300mila a circa 20mila, fino ad arrivare a 18 esemplari nei primi anni Novanta. Grazie ad un piano di recupero attuato prima dal WWF in collaborazione con l’Università di Torino e poi dell’ANAS, oggi l’allevamento di questa razza italiana è in ripresa in tutta la penisola,  anche se i soggetti allevati presentano consanguineità. Le sue carni vengono impiegate per la produzione di salumi di pregio.

 

La razza Apulo-Calabrese (Nero Calabrese) ha origini incerte, ma probabilmente deriva dalla Casertana. Suino nero, talvolta con balzane, rustico e in grado di valorizzare alimenti poveri, offre una carne abbastanza magra che viene generalmente trasformata in salumi tipici come la soppressata. Nonostante il numero esiguo di capi attualmente allevati, il Nero Calabrese è in espansione grazie alla costante valorizzazione delle sue produzioni.

 

Il Nero Siciliano detto anche Nero dei Nebrodi o delle Madonie è una razza autoctona tra le più antiche. Infatti, resti fossili rinvenuti in Sicilia testimoniano la presenza di questa razza già in epoca greca e cartaginese. È di colore nero uniforme, anche se alcuni soggetti possono presentare una cinghiatura simile a quella della Cinta Senese. Come le altre razze autoctone ha subito negli anni un decremento del numero dei capi, in questo caso non solo a causa della diffusione di razze “industriali”, ma anche perché negli anni si è assistito a una diminuzione dei boschi che ricoprivano i rilievi siciliani e che costituivano la zona di pascolamento di questo suino rustico, resistente alle malattie e caratterizzato da elevata vivinatalità. Oggi, grazie a diversi studi mirati alla valorizzazione delle sue carni, è in corso una forte ripresa del suo allevamento. Le sue carni vengono consumate fresche o trasformate.

 

L’allevamento del suino in Sardegna ha una storia lunghissima, infatti il suino domestico era già presente sull’isola in età nuragica. Suino morfologicamente molto simile al cinghiale, con il quale talvolta si accoppia nei boschi, ha mantello nero, grigio, fulvo o pezzato. Come per il Siciliano, il suo allevamento si è modificato nel corso degli anni da brado nei boschi a semi-brado o ad allevamento casalingo. Il suino Sardo viene allevato perlopiù per la produzione di salumi tipici della tradizione sarda, ma importante è anche l’allevamento di suinetti macellati intorno ai 40 giorni e utilizzai per la preparazione del “Porceddu”, famoso piatto tipico locale. Nel 2006 è stato riconosciuto come razza autoctona dall’ANAS.

 

Fonti: agraria.org - ANAS