La bufala dell’Anatolia

La bufala dell’Anatolia ha una storia millenaria che intreccia radici profonde con la cultura ottomana, per la quale questo animale è stato fonte di sostentamento e di crescita socio-economica.  Esso viene allevato in tutta la Turchia ma, come è intuibile dal nome, è maggiormente diffuso in tutta la regione dell’Anatolia e sulle coste del Mar Nero. Gli allevamenti sono molto spesso a conduzione familiare e contano pochissimi capi, talvolta solo una coppia necessaria all’autosostentamento, ma in prossimità delle aree urbane è possibile incontrare realtà più estese con mandrie che possono raggiungere anche 100 capi. Sono animali a duplice attitudine ma il principale fine produttivo è sicuramente il latte i cui valori di grasso e proteine corrispondono rispettivamente a circa il 7% e 4,3%, quantità molto vicine a quelle della bufala nostrana (8,15% e 4,67% in grasso e proteine rispettivamente), con cui condivide il tipo genetico mediterraneo. Nonostante la composizione chimica relativamente simile, il latte ottenuto dalla bufala dell’Anatolia viene destinato maggiormente alla produzione di dolci tipici e yogurt piuttosto che alla caseificazione, anche se di recente vi sono stati alcuni tentativi di produrre mozzarella. La carne invece, rappresenta un prodotto secondario finalizzato quasi sempre alla produzione di lavorati carnei. Purtroppo, dagli anni ’70 del secolo scorso il numero di animali ha subito un forte decremento a causa della meccanizzazione e dell’innovazione tecnologica in ambito agro-zootecnico e per via della sostituzione con animali più produttivi, a scapito ovviamente della biodiversità.  Attualmente l'allevamento di questa specie esiste e resiste soprattutto grazie a programmi di conservazione che mirano a preservare i tipi genetici autoctoni anche se sarebbero necessari ulteriori sforzi da parte del governo per conservarne il patrimonio genetico.

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